VACCINI E ALLUMINIO
Uno degli argomenti più discussi dal fronte antivaccinista è la presunta pericolosità dei sali di alluminio contenuti nei vaccini. E’ noto infatti che l’alluminio, come molte altre sostanze, è tossico in dosi molto alte e la sua presenza in alcuni vaccini suscita molta preoccupazione nell’opinione pubblica.
Ma a cosa servono esattamente i sali di alluminio?
Per più di novant’anni sono stati utilizzati come adiuvanti, aumentando l’efficacia del vaccino e prolungando la protezione immunologica. Questo naturalmente permette di ridurre la quantità di antigeni e il numero di dosi da somministrare. I meccanismi attraverso i quali l’alluminio agisce sono molteplici e riguardano la stimolazione della produzione anticorpale e della immunità innata, il reclutamento delle cellule del sistema immunitario al sito di iniezione e l’interazione con l’inflammosoma, il meccanismo molecolare che dirige la reazione infiammatoria. In pratica quindi l’alluminio “aiuta” il nostro sistema immunitario a reagire al vaccino.
Naturalmente gli effetti collaterali esistono, ma sono per lo più effetti locali quali dolore e formazione di grumi o granulomi al sito di iniezione, dermatite da contatto e mal di testa o dolori muscolari, ma non è normalmente associato a severe reazioni locali o a problemi infiammatori sistemici. Altro potenziale rischio è associato all’aumentata possibilità di reazioni allergiche e anafilassi, ma solo in alcuni tipi di vaccini contro determinati virus (RSV, SARS), per i quali si raccomanda l’uso di altri tipi di adiuvanti.
E’ altresì vero che l’alluminio in alte dosi è associato a problemi neurologici, e questo è il cavallo di battaglia degli antivaccinisti. In realtà, come per molte altre sostanze, è la dose che rende una sostanza tossica. I vaccini contengono in media meno di un millesimo di grammo di alluminio ed un bambino che ricevesse tutte le vaccinazioni previste nel primo anno di vita sarebbe esposto a 3-4 milligrammi di alluminio: di questi, buona parte sarebbe escreto dai reni e solo una minima frazione, il 2%, si accumulerebbe nell’organismo in diverse sedi. Ma attenzione, di tutto l’alluminio accumulatosi, soltanto l’1% raggiungerebbe il cervello. In pratica, siamo nell’ordine del milionesimo di grammo! Molto meno di quanto il bambino assimila normalmente dalla dieta ad esempio. L’alluminio è infatti presente nei cibi, compreso il latte materno, nell’acqua, nel terreno, nei medicinali, nei prodotti manifatturieri. Il vaccino di per sé aggiunge molto poco al totale di alluminio con cui entriamo in contatto e che accumuliamo nell’arco della nostra vita.
E’ chiaro quindi che la tossicità dell’alluminio riguarda in particolare coloro che hanno una funzionalità renale compromessa, compresi i bambini nati prematuri, perché negli individui sani l’alluminio non si accumula nell’organismo se non in frazioni minimali, ma viene escreto nelle urine.
LA DETERMINAZIONE DEL SESSO NELLE TARTARUGHE: INDIVIDUATO UN POTENZIALE GENE
Chi possiede o conosce queste straordinarie creature sa che il sesso delle tartarughe, così come di diversi altri rettili, è dipendente dalla temperatura. Il sesso viene determinato nel mezzo dell’embriogenesi, quando le gonadi “sentono” i cambiamenti della temperatura esterna. Durante questa fase “sensibile”, temperature intorno ai 26,5°C produrranno con maggiore probabilità maschi, mentre temperature intorno ai 33°C produrranno con maggiore probabilità femmine.
Il meccanismo molecolare è ancora tutto da chiarire, e si compone di una cascata di eventi che attivano o inibiscono i geni coinvolti nella determinazione delle gonadi maschili o femminili. Secondo un recente studio sulla specie Clehydra serpentina, a monte del processo potrebbe esserci il gene CIRBP (cold-inducible-RNA binding protein). Il gene codifica per una proteina coinvolta nel processamento dell’RNA messaggero, lo strumento attraverso cui l’istruzione contenuta nel DNA viene “letta” e tradotta in componenti funzionali, le proteine. CIRBP è espresso nelle gonadi e molto precocemente durante la fase temperatura-sensibile, e alla sua attivazione seguono una serie di altre attivazioni o repressioni di numerosi geni coinvolti nella determinazione del sesso.
A rendere il tutto ancora più intrigante, gli scienziati hanno individuato due varianti dello stesso gene, che differiscono per una singola “lettera” nella loro sequenza di DNA, e che rispondono alla temperatura in maniera diversa. Soltanto una è sensibile alle alte temperature, e difatti, le tartarughe che la possiedono, hanno una maggiore probabilità di svilupparsi come femmine rispetto alla media.
E’ dunque intuitivo pensare che CIRPB sia direttamente coinvolto nella determinazione del sesso delle tartarughe sin dalle sue fasi più precoci, anche se ulteriori indagini chiariranno più precisamente il suo ruolo.
VACCINI PERSONALIZZATI CONTRO IL CANCRO
E’ un filone di ricerca molto promettente quello che si propone di combattere il cancro con il sistema immunitario. Ci sono evidenze che le nostre cellule immunitarie agiscono come guardiani, eliminando precocemente le cellule mutate e potenzialmente cancerose. Ma prima o poi il tumore riesce a sfuggire al controllo del sistema immunitario, a crescere e diffondersi. Si stanno mettendo a punto numerose strategie per reindirizzare le cellule immunitarie contro le cellule mutate, una di queste è la messa a punto di un vaccino che sia diretto contro frammenti di proteine espresse esclusivamente dalle cellule tumorali.
Il punto di forza di questa terapia è la selettività. Le cellule tumorali si moltiplicano ad un ritmo forsennato e il loro sistema di controllo, che nelle cellule sane è estremamente rigoroso e permette che tutto il DNA venga continuamente duplicato senza errori, si rende invece molto più “tollerante”. Di conseguenza, le cellule tumorali accumulano numerose mutazioni cosiddette puntiformi ossia singole “lettere” del DNA vengono sostituite con altre, producendo nuove proteine assenti nelle cellule sane. Utilizzando complessi algoritmi informatici è possibile, partendo dal sequenziamento del DNA tumorale, individuare queste mutazioni e predire quali saranno le più immunogeniche, che verranno utilizzate per la costruzione del vaccino. Come per qualsiasi altro vaccino, le cellule del sistema immunitario vengono “istruite” a riconoscere solo e soltanto le cellule tumorali che esprimono quei frammenti di proteina sulla loro superficie.
Un limite di questa strategia è l’eterogeneità delle mutazioni, che differiscono da individuo a individuo ma non solo, anche tra le diverse metastasi o sub-popolazioni tumorali all’interno di uno stesso individuo. E’ evidente dunque che perché questi vaccini possano tradursi in realtà, bisognerà mettere a punto protocolli strettamente personalizzati. La medicina personalizzata è una delle nuove frontiere, anche se pone sicuramente un problema di accessibilità. La speranza è che la tecnologia sempre più avanzata permetterà in futuro una riduzione dei costi.
L’intelligenza delle piante
L’essere umano ha enormi limiti nel comprendere forme di intelligenza diverse dalla propria. Prendiamo le piante: apparentemente immobili, inermi, a prima vista la loro esistenza è piuttosto semplice. Assorbire acqua e nutrienti dal terreno, crescere, riprodursi e poi morire, tutto molto più semplice e lineare rispetto al nostro tran tran quotidiano.
La parola “intelligenza” viene dal latino intelegere; scegliere tra. Se in una serie di situazioni siamo in grado di valutare rischi e benefici e di scegliere tra diverse opzioni quella più vantaggiosa, allora possiamo a ben ragione definirci intelligenti. Ma una pianta che se ne sta immobile tutto il giorno quali decisioni dovrà mai prendere? E anche se fosse, una struttura così elementare rispetto a noi è veramente in grado di prendere decisioni complesse? Proviamo ad immedesimarci in una piantina comune e ad immaginare la sua giornata tipo.
Al sorgere del sole la pianta “si sveglia”. I primi tiepidi raggi la illuminano. Come si intuisce, la luce è di fondamentale importanza per una pianta, fornendole l’energia necessaria per la fotosintesi clorofilliana, il processo attraverso cui questa sintetizza da sé gli zuccheri. Ma la pianta “vede” la luce? Ovviamente la risposta è sì. Non ha due occhi come li intendiamo noi, ma poco importa. La pianta possiede infatti numerosissimi fotorecettori in grado di captare la luce, distribuiti praticamente su tutta la sue superficie, come se fosse ricoperta da tanti piccolissimi occhi. Ma… un momento! Un’ombra è calata sulla nostra piantina! Una sua vicina è cresciuta più velocemente di lei e ora intercetta tutti i raggi migliori. Che cosa farà la nostra eroina, subirà in silenzio questa prevaricazione secondo voi? Non credo proprio. In casi come questo si osserva quella che viene definita “fuga dall’ombra”: la pianta svantaggiata inizia a crescere molto velocemente con lo scopo di superare la rivale in altezza e ricevere più luce. Così facendo però investe risorse preziose, al punto che se non raggiungesse il suo scopo la corsa potrebbe persino risultarle fatale. La prima decisione complessa della giornata: il gioco vale la candela? Quante risorse investire nella crescita? Sono in grado di superare la rivale?
Ammesso che la pianta in questione decidesse di “sfidare” la sua antagonista per conquistare un posticino più in alto, crescere non è un affare da poco! Non solo la pianta compete con il mondo esterno, ma anche i suoi tessuti durante la crescita sono in competizione l’uno con l’altro! Tanto è che se ne viene rimosso uno, gli altri crescono più velocemente. Tenere sotto controllo la competizione è cruciale, ma ancora più cruciale è la capacità della pianta di “decidere” verso quale tessuto veicolare più o meno risorse a seconda delle circostanze. Essa infatti, da abile stratega quale è, è in grado di manipolare il proprio sistema vascolare in modo da dirigere le risorse verso i rami che producono di più e tagliare letteralmente i viveri a quelli che producono di meno, provocandone in alcuni casi addirittura la morte. Una specie di premio alla meritocrazia! Siamo solo a metà giornata e la nostra pianta si è già cimentata in un complesso calcolo rischi/benefici, chiaro segnale di un comportamento intelligente.
Ora però le comincia venire un certo languorino e anche una certa sete. E’ ora di procacciarsi acqua e sali minerali dal terreno. L’apice radicale è una struttura presente sulla punta estrema di una radice. Nonostante sia un affarino di sole 200 cellule, è una entità estremamente dinamica che ha dello straordinario. Riesce infatti a distinguere numerosi segnali tra cui la gravità, tatto, deficienze di fosfati, gradiente di azoto del terreno, gradiente di umidità. Estrarre acqua e nutrienti dal terreno non vuol dire puntare la radice nel terreno, come fosse una cannuccia, e succhiare. I nutrienti non sono tutti dalla stessa parte e le radici, o più precisamente gli apici radicali, compiono continuamente una serie di scelte: di cosa necessitiamo al momento? Acqua? Azoto? O forse è più urgente rifornirci di fosforo? Insomma bisogna cercare, e spesso bisogna decidere a quale nutriente assegnare la priorità, senza contare poi la competizione con le piante vicine. Immaginate che straordinaria opera di integrazione di tute le informazioni locali e globali in modo da soddisfare tutte le esigenze della pianta, dalle più urgenti via via a tutte le altre, un compito di grande spessore svolto in maniera impeccabile e professionale da queste piccolissime strutture che sono gli apici radicali.
Durante la giornata la nostra pianta si troverà sicuramente ad interagire con altri esseri viventi. Ecco avvicinarsi un animale erbivoro con l’acquolina alla bocca, che già pregusta il suo spuntino. La pianta ha poco tempo per “riflettere”. Ci sono una serie di strategie da mettere in campo: di solito la prima è quella di produrre sostanze chimiche poco appetitose, poco digeribili o addirittura velenose per l’erbivoro, così da scoraggiare lo spuntino. Per un discorso di ottimizzazione delle risorse, la pianta decide inizialmente di produrre poca sostanza, limitatamente alla foglia che viene danneggiata o a quelle intorno “sperando” che il predatore si rassegni subito. Se costui è particolarmente ostinato o è uno di quelli che “basta che se magna” come si dice a Roma, continuerà a cibarsi delle foglie nonostante il saporaccio, e allora la pianta sarebbe costrette a ricorrere a piani di emergenza più energicamente dispendiosi, come la produzione di sostanze chimiche in tutte le foglie, il rilascio di segnali volatili in modo da “allarmare” le piante vicine, o persino di stringere alleanze con i nemici dei propri nemici! Insomma, la nostra pianta riesce perfettamente a calibrare la propria risposta sulla base del danno subito calcolando il minimo dispendio di energie necessario per difendersi, in maniera così oculata che potremmo ribattezzarla Zio Paperone!
Fino ad ora la giornata della nostra pianta è stata molto movimentata e piena di peripezie, ma essa ha superato con grande abilità le prove che gli si sono presentate: si è assunta dei rischi, ha preso decisioni, ottimizzato l’uso delle risorse, comunicato con altre piante e stretto alleanze o esacerbato la competizione con le proprie rivali. Tuttavia neanche le piante sono infallibili e spesso sbagliano. La cosa stupefacente è che molte piante sono in grado di correggere propri errori! Questo banalmente vuol dire che la pianta sa cosa è giusto e sa quando qualcosa è andato male. Trappola mosca venere è una pianta carnivora, abile cacciatrice: contiene due peli, che se toccati ad un intervallo di venti secondi l’uno dall’altro determinano la chiusura della trappola, e altri cinque tocchi (sì, la pianta sa anche “contare” fino a cinque) determinano la secrezione di enzimi digestivi e la digestione dura settimane. Se la trappola viene stimolata con un ago o con una preda troppo, questa si chiude ma in poco tempo si riapre: la pianta capisce che è stata ingannata e che quello che ha quasi ingoiato non è un prelibato bocconcino.
Tornando alla nostra piantina, ormai è sera e lei è stanca. Per non essersi mossa di un millimetro, ne ha fatte di cose! Ora ci vuole solo un bel sonnellino ricostituente e poi si riparte domani più carichi che mai. Sì avete capito bene, anche le piante “dormono”! E’ stato osservato che curiosamente le piante durante la notte tendono ad assumere la stessa posizione che avevano nel germoglio, e cambiano persino posizione durante le ore della notte, come quelli di noi che si girano e rigirano nel letto. Le somiglianze però non finiscono qui: come per gli animali, anche le piante “dormono” di più in giovane età. Siete scettici? Il fenomeno è ancora piuttosto misterioso e non se ne sa molto. L’intelligenza vegetale in generale è ancora avvolta nel mistero, ma stanno sorgendo tante discipline interessanti dai nomi suggestivi, come la neurobiologia vegetale.
Lasciamo quindi la nostra piantina al suo sonno rigenerante.
A presto!
Batteri: nemici o alleati?
Ciao a tutti!
Negli ultimi giorni sono stata talmente piena che con mio rammarico non ho potuto partecipare ad un seminario piuttosto interessante organizzato dall’azienda presso cui sto facendo il tirocinio. L’argomento era la famigerata resistenza agli antibiotici, di cui si sente tanto parlare. E’ un problema dei nostri giorni, una vera e propria insidia che si nasconde nelle operazioni più disparate.
Sappiamo tutti, o almeno così si presuppone, che interrompere cicli di antibiotici prima del tempo o usarne quando non ce ne è realmente bisogno sono azioni che incrementano la resistenza, che banalmente significa che i batteri imparano a difendersi, grazie a mutazioni casuali nel loro DNA che si propagano poi nelle generazioni successive. Quello che prima era letale non lo è più. Quello che molti non sanno, e lo dico per esperienza poiché anche io prima di intraprendere questo percorso di studi non lo avevo chiaro, è che il discorso delle mutazioni è completamente casuale e che queste avvengono a prescindere e possono recare un vantaggio o uno svantaggio alla vita di un individuo, ma anche essere completamente neutrali. Tuttavia, la presenza di una pressione selettiva, quale l’antibiotico, permette di sopravvivere soltanto ai batteri che, a grazie ad una fortunata mutazione, riescano ad adattarsi al cambiamento delle condizioni e dunque a riprodursi. E’ come se questi batteri “speciali” avessero in mano il biglietto vincente di una sorta di “lotteria” delle mutazioni. Tante altre mutazioni potrebbero o meno essere avvenute nel frattempo, e sempre per caso, nei batteri meno fortunati: alcune dannose, altre completamente inutili. Se non le vediamo è semplicemente perché i loro portatori muoiono prima sotto i colpi dell’antibiotico o di una mutazione dannosa, in altre parole avevano comprato i biglietti perdenti della lotteria, quelli che non sono stati estratti. Capita!
Purtroppo usando sempre più antibiotici aumenta la probabilità che sempre più batteri vincano alla lotteria. Pensate cosa succederebbe se si organizzasse una lotteria al giorno! All’inizio i batteri vincitori sarebbero i pochi soliti fortunelli, ma è chiaro che più “si gioca” e più aumenta il numero dei vincitori. E’ una semplificazione, ma se fossi il sindaco di questa città di batteri io ci darei un taglio con queste lotterie! Però non è sempre così facile. Le resistenze agli antibiotici non sono solo causa del pessimo uso che se ne fa in clinica ma anche in altri settori, e questo era un tema centrale del seminario. I ceppi di funghi resistenti ad antibiotici, ad esempio del genere Aspergillus, sono aumentati anche per l’uso di composti simili in agricoltura. Per proteggere le piante da infezioni da fungo si impiegano infatti prodotti molto simili a quelli utilizzati in clinica, e che selezionano le medesime mutazioni nei ceppi in grado di attaccare l’uomo. Molte di queste infezioni non sono neanche particolarmente pericolose in soggetti sani, ma possono essere fatali in individui immunodepressi.
Ma questo non voleva essere soltanto un articolo sull’eterna lotta tra uomo e batteri. Mi piacerebbe anche sfatare questo mito che vede i batteri soltanto come piccoli insidiosi antagonisti. Per molti potrebbe essere scontato, per qualcuno forse no, ma non tutti i batteri sono patogeni, anzi! Una notizia che mi aveva molto incuriosito, poi anche parzialmente smentita, era quella che il nostro corpo contenesse molte più cellule batteriche che non cellule umane. Ovviamente stiamo parlando di numeri astronomici, trilioni di cellule. Quindi per qualche tempo si era creduto che i batteri fossero in netto vantaggio; in realtà poi quella affermazione è stata ridimensionata, ma comunque si parla di un bilancio alla pari. Saremmo fatti per metà da batteri! Qualche germofobo ora potrebbe tranquillamente svenire, ma in realtà possiamo e dobbiamo stare sereni: noi rappresentiamo per i batteri un invitante e confortevole habitat, ma loro sono nostri preziosi alleati contribuendo a mantenere la salute e il pH dell’intestino ed agendo in moltissimi modi, in parte ancora sconosciuti. Ad esempio sapete che la comunità di batteri che risiede nel nostro intestino, il microbiota, ha un ruolo nella risposta immunitaria? Pare che cambiamenti nella composizione del microbiota possano impattare sulla efficacia di una vaccinazione: è un filone di ricerca molto promettente, di cui forse mi occuperò in prima persona.
I batteri sono così importanti per il corretto funzionamento del nostro organismo e per la difesa da alcune malattie, che da circa un decennio è stata messa a punto una nuova terapia nota come batterioterapia fecale o trapianto fecale. Forse starete pensando che il nome non evoca esattamente immagini piacevoli, e non posso che concordare. Io stessa non ne avevo mai sentito parlare e se mi dicessero che ho bisogno di sottopormi ad un trapianto fecale non farei i salti di gioia. Comunque la procedura è forse meno disgustosa di come la si immagina. E’ vero che il materiale di partenza sono inequivocabilmente le feci di un individuo sano, meglio se parente, ma queste vengono poi opportunamente processate in laboratorio per estrarre i batteri e ridotte ad una sospensione liquida contenente gli stessi. Questa viene poi inserita tramite sondino nasogastrico, che raggiunge il cieco, o tramite clistere. La terapia si è già mostrata efficace nella prevenzione di un gran numero di casi di recidive da colite pseudomembranosa o infezioni da Clostridium difficile, che sono invece piuttosto frequenti dopo il trattamento con antibiotici. Benché invasiva questa procedura non comporta sostanzialmente rischi o tecnologie particolari. E’ dunque estremamente promettente ed è una realtà già in molti reparti ospedalieri.
Questi erano solo alcuni spunti per conoscere meglio gli esserini microscopici che sono intorno a noi e soprattutto dentro di noi. Ci sarebbe molto altro da dire sui batteri e non escludo un ulteriore articolo in futuro. I batteri sono forme di vita forse lontane da noi, ma sono molto più antiche e lo sappiamo guardando i nostri nonni e bisnonni che più si sta al mondo e più ci si fanno le ossa. E una lunga esperienza li ha portati a mettere a punto diversi trucchetti per sopravvivere in questa Terra, anche nei suoi angoli più inospitali. Molti ricercatori si sono divertiti a copiare questi trucchetti e a servirsene per gli scopi più disparati, a esempio nel settore industriale. Abbiamo molto da imparare.
A presto!
Pomodori tra le stelle
Ciao a tutti!
Oggi vi voglio raccontare la mia esperienza presso il centro ricerche Enea (Agenzia Nazionale per l’Ambiente e le Energie Rinnovabili), a Casaccia. Queste settimane sono state molto frenetiche per me: ho visitato diversi laboratori di ricerca perché sono in procinto di iniziare il mio internato di tesi, e poiché molteplici sono i miei interessi ho spaziato dall’immunoterapia ai biosensori, dalle biotecnologie vegetali alle nanotecnologie, per poi ritrovarmi ancora più indecisa di prima!! Ma nel mio girovagare mi sono imbattuta in questo progetto piuttosto curioso, che voglio presentarvi.
Intanto l’Enea è una bellissima struttura, grande, moderna e situata vicino al lago di Bracciano. Recentemente in occasione della notte europea dei ricercatori i laboratori sono stati aperti al pubblico, un’ottima iniziativa per avvicinare le persone alla scienza. Auspicherei più iniziative di questo genere, poiché spesso i laboratori vengono percepiti come luoghi misteriosi entro cui avvengono cose altrettanto misteriose e forse leggermente inquietanti. In realtà sono normali luoghi di lavoro entro cui lavorano persone normali, simpatiche o antipatiche, spesso divertenti o spiritose, ma distanti dallo stereotipo dello “scienziato pazzo”. Così forse la scienza smetterebbe di fare paura a tanta gente. Ma sto divagando.
Tornando all’Enea, io ero interessata a tutta la parte concernente le biotecnologie vegetali. Ma sapete quanto possono essere utili le piante? Io onestamente fino a qualche mese fa, no. Possono essere usate nella fitodepurazione, e quindi assorbire metalli pesanti o altre sostanze tossiche dalle acque e dai terreni grazie alle loro radici; possono essere una fonte preziosa di energia e biocarburante alternativa ai combustibili fossili; ma uno degli usi secondo me più straordinari è quello del sistema pianta come “fabbrica” per la produzione di molecole utili per la nostra salute, quali vaccini, biofarmaci, anticorpi, proteine. Basta inserire un pezzetto di DNA all’interno della pianta (ovviamente esistono protocolli specifici, ma non è mia intenzione entrare nel dettaglio) e attendere che questa “legga” le istruzioni in esso contenute per produrre la molecola di nostro interesse. Certo, così sembra facile, ma ci sono tante questioni da tenere in considerazione. Ad esempio, le piante “costrette” ad investire risorse ed energia per produrre qualcosa che dopotutto a loro non serve, hanno una resa peggiore. E poi non è così scontato che ci riescano!
In realtà la stessa strategia vale anche per cellule animali, come le cellule di mammifero, e per batteri. In diversi casi, possiamo fare esprimere ad una cellula una cosiddetta proteina “ricombinante”, che non era originariamente nel suo DNA, ossia nel suo”manuale di istruzioni”, ma che introduciamo noi. Vi chiederete allora quali sono i vantaggi della produzione in pianta. Il primo e più importante, come mi hanno opportunamente spiegato, è che le piante non possono essere contaminate da patogeni che normalmente attaccano invece le cellule di mammifero, quindi non solo si fanno carico loro di tutto il lavoro, ma lo fanno anche in maniera più pulita! Possono inoltre esserci vantaggi di ordine economico e molte delle molecole naturalmente prodotte dalle piante si sono rivelate di grande utilità pratica, ad esempio nell’aumentare l’efficacia di numerosi vaccini.
Venendo alla ragione del titolo, l’Enea sta al momento collaborando con l’Agenzia Spaziale Italiana in un progetto chiamato BioeXtreme, che si ripropone di selezionare varietà di piante adatte ad essere coltivate nelle stazioni spaziali. In particolare, loro stanno studiando questa pianta di pomodoro nano, il “Microtom”, come modello. Sono entrata in questa splendida serra di pomodori in coltura idroponica, ossia senza terreno. Le radici sono direttamente a contatto con un sistema di irrigazione che si snoda attraverso tubature e canali. Ovviamente la serra è totalmente blindata e mantenuta a pressione positiva rispetto all’esterno, in modo che niente possa uscire o entrare: pensate che prima di entrare ho fatto una doccia d’aria e indossato camice e parascarpe! Perché questi non sono pomodori normali; infatti, quando sono entrata, sono stata sorpresa da un tripudio di colori dal verde al rosso intenso, ma soprattutto tutta la scala cromatica che va dal rosso al viola. E già, pomodori viola! Bellissimi da vedere, ma come immaginerete non si è trattato di un capriccio degli astronauti. Me li immagino nelle loro tute argentee tra un addestramento e l’altro che protestano “sì, ok, vanno bene i pomodori ma tutto questo rosso ci ha stancato, che ne dite di un bel viola? Si intona con le pareti della ISS”. Scherzi a parte, i pomodori sono viola perché sono stati in qualche modo riprogrammati, agendo sul loro DNA in un modo simile a quello che vi ho descritto prima, per produrre una grande quantità di antocianine. Le antocianine sono pigmenti viola per l’appunto. Ma poiché è chiaro che non parliamo solo dei vezzi estetici di un ricercatore o di un astronauta particolarmente estroso, è bene ricordare che le antocianine sono anche molecole ad alto potenziale antiossidante, e cibi di questo genere vengono studiati per migliorare l’apporto nutrizionale degli astronauti in missione, continuamente esposti a raggi cosmici e stress di vario tipo. Siccome poi questi pomodori non crescono in terra come vi ho detto ma in queste grandi cisterne colme di acqua, ho potuto vedere le loro radici, anche esse di uno sgargiante colore viola. Anche se il viola non è il vostro colore preferito e magari avreste preferito che vi parlassi di radici blu elettrico, ammetterete che fa comunque una bella impressione.
Poi naturalmente c’è da dire che queste piante viola, poverine, sono del tutto terrestri ed abituate alla nostra atmosfera e forza di gravità. Probabilmente se potessero parlare non sarebbero tanto contente di venire caricate su una astronave alla volta dello spazio infinito. Se guardiamo in cielo durante una notte stellata, l’universo ci sembra il posto più pacifico del mondo, ma in realtà sia la pianta che l’essere umano che vorranno imbarcarsi in questa audace impresa saranno sottoposti a numerosi stress in un ambiente completamente inadatto alla vita. Quindi, così come si studiano gli effetti di una prolungata assenza di gravità ed esposizione a radiazioni sul corpo umano, simili studi vengono compiuti su queste piante. Non scendo nei dettagli, anche perché non ne ho le competenze, ma esistono macchinari (io stessa ne ho visto uno, era come una grande ruota sottoposta ad una lentissima rotazione, tipo una ruota panoramica per intenderci) in grado di ricreare le condizioni della stazione spaziale qui sulla Terra.
Probabilmente questo non sarà il mio ultimo articolo sulle piante: questi esserini verdi, un tempo considerati alla stregua di minerali e rocce, possono essere in realtà nostri preziosi alleati nella battaglia contro le malattie, l’inquinamento, e persino per la conquista dello spazio! Senza contare il mondo che nascondono e di cui ancora oggi si conosce ben poco. Sapete che esiste una disciplina nota come “neurobiologia vegetale”? Un argomento affascinante, che potrebbe essere materia di uno dei miei prossimi articoli.
A presto!
“La cura per la noia è la curiosità”
Ciao a tutti! Sono una ragazza di 23 anni e studio biotecnologie.
Ho iniziato il mio percorso nella biologia senza vedere il traguardo, scoraggiata da tanti, in un paese in cui la ricerca è in crisi e la fiducia nella scienza è ai minimi storici. Ma non mi sono mai arresa perché amo ciò che studio e non c’è niente di più meraviglioso di scoprire giorno per giorno le sorprese che il mondo ci riserva.
Recentemente ho avvertito l’esigenza di contribuire, seppure nel mio piccolo, alla divulgazione di conoscenza scientifica perché l’ignoranza genera mostri e rinchiudersi nel laboratorio e portare a termine esperimenti senza contatti col mondo esterno non è “essere scienziati”. Il mestiere dello scienziato è molto di più, è uno stile di vita. Interrogarsi sui misteri del mondo è a mio avviso uno degli scopi più alti della vita di un essere umano. Chi non si è mai fermato nemmeno un momento a confrontarsi con le grandi questioni dell’universo, macroscopico o microscopico che sia, secondo voi ha vissuto veramente? Non è forse la capacità di comprendere la nostra esistenza che ci contraddistingue dagli altri esseri viventi?
Ho sentito spesso dire che andare a fondo nella natura scientifica dei fenomeni li ha derubati della loro magia, ma io non credo sia così. Sapere che le stelle non sono pietre scintillanti incastonate nella volta nera del cielo ma masse gassose che bruciano a distanze inimmaginabili da noi, che il fulmine non è la manifestazione dell’ira di un antico dio ma un fenomeno legato all’elettricità atmosferica, li rende forse meno affascinanti? E’ più affascinante credere che il mondo sia il disegno di una volontà imperscrutabile, di una entità superiore, o che tutto questo sia in realtà un gigantesco macchinario autosufficiente originatosi da fluttuazioni casuali dello spazio-tempo? Non c’è bisogno che vi dica cosa penso io vero? Io sono per la conoscenza, sempre. Cerchiamo di conoscere questo mondo anziché investire tempo e risorse nello sponsorizzare realtà ultraterrene: le risposte sono QUI! La scienza non è una fredda enumerazione di dati e termini complicati, la scienza sa essere molto più poetica, magica e sorprendente di qualsiasi religione o spiegazione soprannaturale. Ma richiede uno sforzo di comprensione maggiore, ed è per questo che la comunicazione della scienza è importante almeno quanto la scienza stessa.
Permettiamo a tutte le persone, non solo ai tecnici, di appassionarsi, di commuoversi, di meravigliarsi e di sorprendersi giorno dopo giorno di questa cosa strabiliante, ma al tempo stesso assolutamente terrena, che è l’universo in cui viviamo. Mi piacerebbe proporre su questo blog curiosità divertenti e insolite, perché voglio convincervi che fare scienza o leggere di scienza è bello.
A presto